Stop della Regione ai finanziamenti comunali all’edilizia di culto
Proprio mentre tanti comuni si accingono a discutere il proprio bilancio facendo i conti con risorse sempre più scarse, arriva una boccata d’ossigeno laico dalla Regione Emilia Romagna, la quale ritiene non più applicabili le disposizioni che stabiliscono che il 7% degli oneri di urbanizzazione secondaria siano destinati alle chiese ed altri edifici per attività religiose. L’Uaar plaude questa decisione, ricordando che sosteneva da anni che i comuni dell’Emilia Romagna potevano e dovevano decidere autonomamente e a salvaguardia del patrimonio pubblico, e che riteneva inesatte le laconiche risposte di tanti comuni su presunti obblighi di legge che avrebbero imposto il versamento alle chiese di questa antiquata tassa di religione.
Tra queste risposte sbrigative (e dimostratesi ora infondate dal punto di vista normativo) c’è stata anche quella dell’assesore Patrizia Gabellini del Comune di Bologna, data a fronte di una petizione con oltre 1.500 sottoscrizioni e depositata dal nostro circolo nel 2012. Oggi scopriamo che per anni il Comune di Bologna ha versato una media di oltre mezzo milione di euro alla Curia (il più grande immobiliarista sul mercato) e ad altre confessioni minori sulla base di presupposti normativi errati. Dall’inchiesta del nostro circolo emerge che il solo comune di Bologna per oneri di urbanizzazione relativi agli anni 2000-2011 ha girato alle confessioni religiose oltre 6 milioni e 300mila euro.
La valutazione della Regione è contenuta nel parere emesso dal responsabile del Servizio Affari generali, giuridici e programmazione finanziaria, Giovanni Santangelo, investito della questione dal Comune di Gambettola (FC) cui era stata presentata una richiesta di rimborso da una parrocchia locale per spese sostenute nel 2014 per lavori di demolizione e nuova costruzione di edificio da destinare a Centro parrocchiale: rimborso richiesto come liquidazione di quota di oneri di urbanizzazione secondaria incassati dal Comune negli anni 2010, 2011, 2012 e 2013.
Il Comune dovrebbe formulare annualmente una previsione di impegno dei proventi derivanti da concessioni e sanzioni edilizie, e nell’ambito di tale previsione, “d’intesa con gli enti religiosi istituzionalmente competenti”, dovrebbe destinare una quota dei proventi – il 7% appunto degli oneri di urbanizzazione secondaria o la diversa percentuale stabilita dal Consiglio comunale – “in primo luogo all’acquisizione di aree previste dagli strumenti urbanistici vigenti per chiese ed altri edifici per servizi religiosi, da cedere gratuitamente in proprietà all’ente religioso, ovvero al rimborso delle spese documentate per l’acquisizione di dette aree, ed inoltre ad interventi per la costruzione o il ripristino di attrezzature religiose, con particolare riferimento ai valori monumentali e storici”.
La Regione Emilia Romagna afferma però che “appare necessario considerare il principio, radicato nell’ordinamento, in virtù del quale le opere di urbanizzazione sono, in linea naturale, opere pubbliche rientranti, o destinate a rientrare, nel patrimonio del Comune” e che “come per tutte le opere pubbliche, tale principio risponde alla logica secondo la quale la proprietà pubblica delle opere costituisce la più piena e duratura garanzia della loro effettiva destinazione a finalità di interesse generale”. “In coerenza a tale principio, ed a fronte dell’attuale carattere multiconfessionale della quota di popolazione dèdita a pratiche religiose, e dei connessi principi costituzionali di libertà e non discriminazione, dovrebbe ritenersi che qualora il Comune, nell’ambito della propria autonomia, ritenga di destinare una quota dei proventi degli oneri di urbanizzazione (o altri fondi pubblici) alla realizzazione di opere di urbanizzazione riguardanti il culto, dovrebbe farlo in riferimento ad edifici e spazi di proprietà dello stesso Comune, assegnati o gestiti direttamente, secondo quanto ritenuto più adeguato al contesto sociale locale ed alla relativa evoluzione, in modo da soddisfare l’interesse di tutte le diverse comunità e persone che nella realtà locale possano aspirare all’esercizio di pratiche di carattere spirituale in ambienti dedicati”.
Inoltre, si legge nel parere, la normativa in argomento (le disposizioni regolamentari del 1978, riprodotte ai paragrafi 2 e 3 del punto 2.1 del testo coordinato delle “Indicazioni procedurali per l’applicazione degli oneri di urbanizzazione di cui agli artt. 5-10 della legge 28 gennaio 1977, n. 10”, contenuto nella deliberazione del Consiglio regionale n. 849 del 04.03.1998) risale al 1978 e poteva dunque trovare fondamento in quei Patti lateranensi allora ancora in vigore e in particolare nel principio di “religione di Stato” che nell’ambito della revisione concordataria del 1985 si provvide poi a dichiarare non più in vigore (punto 1 del Protocollo addizionale all’Accordo tra Santa Sede e Repubblica italiana, ratificato con legge 25.03.1985, n. 121). La conclusione dell’ufficio regionale è che le disposizioni sono quindi da ritenersi inapplicabili.
Il parere della Regione Emilia Romagna lascia comunque una porta aperta qualora un Comune pervenisse a conclusioni di segno diverso: ma in tal caso, si specifica, “apparirebbe necessario richiamare, come già espresso nel parere del 2001, il rigoroso rispetto delle condizioni di cui all’art. 12 della legge 241/1990, e degli odierni collegati obblighi di trasparenza di cui al DLgs 33/2013, ossia la necessità della preventiva approvazione e pubblicazione di atti che predeterminino i criteri e le modalità di riparto dei contributi tra i soggetti esponenziali dei diversi orientamenti confessionali o filosofici presenti nell’ambito comunale, tenendo conto dell’effettiva rappresentatività di tali soggetti esponenziali, nell’ambito della popolazione comunale, in coerenza con i principi costituzionali sull’imparzialità dell’azione amministrativa e sulla libertà di religione”.
Il parere della Regione, pubblicato lo scorso dicembre, sarà comunicato dai circoli Uaar dell’Emilia Romagna agli assessori all’urbanistica e per conoscenza ai sindaci di tutti i comuni, richiedendo di conseguenza di sospendere qualsiasi erogazione di denaro pubblico per edilizia di culto, anche relativa ad anni precedenti, e invitandoli a utilizzare le risorse così recuperata ad esempio per l’edilizia scolastica o altre opere sul patrimonio pubblico.