Oggi, 11 novembre, le scuole del comune di Casalecchio di Reno sono chiuse per il santo patrono, Martino di Tours. Una grana per chi ha figli che le frequentano se, come spesso capita nel territorio provinciale, il proprio datore di lavoro chiude invece i battenti il 4 ottobre per Petronio, patrono di Bologna. Per una curiosa tradizione diventata legge un giorno delle nostre ferie viene infatti deciso da altri, causando problemi familiari.
Per non parlare del danno economico al Paese intero: ogni comune fa scelte diverse, per cui capita che i fornitori siano chiusi un giorno, le filiali siano chiuse un altro, gli uffici centrali un altro ancora. Anche nella stessa azienda!
A Casalecchio l’associazionismo e il volontariato riescono (obtorto collo?) ad animare la giornata, trasformandola in un momento di solidarietà e di socialità. Di religioso, nella giornata del santo patrono, rimane ormai solo il nome. A Casalecchio è toccato San Martino. Di lui la leggenda dice che, da non cristiano, donò metà del suo mantello ad un povero. Ma che fece poi da cristiano, per guadagnarsi la santità e per obbligare anche i non cattolici a festeggiarlo?
Ai cittadini di Casalecchio di Reno forniamo una risposta un po’ meno leggendaria e più disincantata, che anche le istituzioni, scuola in primis, potrebbero e dovrebbero dare.
Martino di Tours, di Marta Gianni (*)
Legionario, figlio di ufficiale (il nome stesso implica una dedicazione a Marte), applicò modi bellici anche nell’evangelizzazione. Infatti, contrariamente alla politica insinuante e mite che sarà suggerita due secoli dopo da Gregorio Magno (porre un simbolo cristiano accanto a pietre, alberi e fonti sacri senza vietare le antiche devozioni) e che avrebbe dato ottimi risultati in Anglia, quella di Martino fu un’azione missionaria dura e spesso violenta: un’ininterrotta foga persecutoria, un continuo abbattimento di templi, idoli, alberi (talvolta costringendo gli stessi Celti ad abbattere personalmente i propri veneratissimi recinti arborei). Il risultato, apparentemente, fu veloce e strepitoso tanto da far sì che il legionario ungherese, morto nel 397, divenisse, con veloce canonizzazione, il primo santo non martire a ricevere l’ onore dell’altare; in realtà la veloce diffusione del culto fu molto favorita non solo dalla chiesa che aveva bisogno di espandersi e cercava testimoni più calati nella contemporaneità per sostituire le ormai già un po’ desuete figure dei martiri ma anche dall’appropriazione della figura del santo che la dinastia merovingia operò per legittimare la propria sacralità, conservando nella chiesa palatina la presunta reliquia della famosa cappa di Martino, ormai divenuto defensor regni.
Il sepolcro del neosanto e il monastero di Marmoutier, vicino a Tours, beneficato dai Merovingi, acquisteranno subito, guarda caso, fama di potenza taumaturgica e nell’arco di un secolo dalla morte avremo già un culto estremamente consolidato: papa Simmaco titolerà all’ex legionario una basilica romana (S.Martino ai Monti) e S.Benedetto gli dedicherà uno degli oratori di Cassino. Per giustificare tale immediata popolarità devozionale certa etnografia vorrebbe che la figura di Martino si sia innestata, a livello popolare, su quella del dio Lugh, l’amatissimo dio cavaliere della luce e dell’oltretomba, alcune caratteristiche del quale sarebbero state applicate a Martino: il dies festus, l’11 novembre, è la data che segnava la fine del Samhain; l’arcobaleno (in Irlanda “l’arco di Lugh”) diventa in Francia “l’arco di s. Martino”; sempre in Francia (ma anche nelle Fiandre francofone) Martino, con collegamento alle luci dell’inverno, porta doni ai bambini come il nordico santa Claus o l’italica santa Lucia; l’oca, presente spesso nelle agiografie di Martino e sulle tavole francesi l’11 novembre, era per i Celti un animale psicopompo connesso alle divinità, ecc. (v.F.Cardini «Abstracta» 16 (1987) 6-53). Altri etnostorici invece propendono per una connessione anche con Mitra (la clamide, la luce ecc.) il cui culto, importato dalle legioni, s’era molto diffuso in Gallia.
Siamo in realtà di fronte a notazioni che non hanno alcun certo riscontro storico e che possono, tutt’al più, testimoniare eventuali sopravvivenze di devozioni locali e la nascita di un sincretismo religioso. Quel che è storicamente rilevabile, invece, è che se, da un lato, Martino ha aperto la strada per l’espansione europea del cristianesimo (e da qui la sua importanza per la chiesa), dall’altro la durezza e la rapidità della sua azione missionaria han fatto sì che, a differenza del mondo anglosassone, nel mondo celto-gallico il ricordo dell’antica religione, troppo brutalmente e troppo velocemente apparentemente distrutta, si sarebbe mantenuto per secoli, sopravvivendo nel folklore e costituendo una delle peggiori spine nel fianco del cristianesimo che, improntato com’è su di un creazionismo antropologico, non riuscirà mai a comprendere appieno lo spirito celtico condizionato dalla variazione dei cicli stagionali, da una continua compresenza del mondo larvale, da una paritetica compenetrazione con la natura e con i suoi eventi.
Per la bibliografia su Martino e per la prima agiografia, quella di Sulpicio Severo, si veda l’importante lavoro di J. Fontaine, Sulpice Sevère. Vie de Saint Martin…, Paris 1967-69; buona è la traduzione di L.Canali nell’edizione con testo latino a fronte a cura di J.W.Smit, in Vite dei santi, a cura di Ch. Mohrmann, Fondazione Valla, Milano Mondadori 1975, pp. 1-67; l’agiografia di Gregorio di Tours si trova nella Patrologia Latina del Migne, vol. 71 e, a cura di Krusch, nei Monumenta Germaniae Historica, Scriptores rerum Merovingicarum, I/2 (1885); per Martino i testi di riferimento sono assai numerosi, dagli Acta Sanctorum alla Bibliotheca Agiographica Latina dei Bollandisti, dall’Histoire dell’Église di Fliche e Martin alle molte enciclopedie; ancor più numerose le monografie, pur se spesso d’impostazione omiletica; in generale possiamo rimandare all’interessante voce della Bibliotheca sanctorum, VIII, Roma 1966, coll.1250-1291 e ai contributi contenuti in San Martino di Tours. Storia, culto, tradizioni locali, Mirandola 1999.
(*) Marta Gianni ha diretto gli Uffici, l’Archivio Storico e la Biblioteca dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo; è stata allieva di Raffaello Morghen e Raoul Manselli, a fianco dei quali ha lavorato per molti anni nell’ambito del Repertorium fontium historiae medii aevi, opera enciclopedica attuata con la gratuita e entusiasta collaborazione di tutti i principali istituti scientifici europei.
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